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Le follie dell’imperatore

L’imperatore Kuzco, cattivo e sfrontato, decide di espropriare un contadino dalla sua casetta in collina. Verà trasformato in lama e proprio quel contadino che aveva preso di mira lo farà tornare il giovane di prima. E per di più meno egoista… Si respira aria nuova in casa Disney. E non è detto che sia un male. Le follie dell’imperatore ci ha favorevolmente sorpreso. Progettato e pensato già a partire dal 1994, influenzato visivamente dall’arte precolombiana e intristito da una trama che gli stessi ideatori osavano definire «poco divertente», il film – dopo parecchie vicissitudini – ha trovato finalmente la sua perfetta dimensione: quella di un musical il cui ritmo si avvicina più allo slapstick, cioè allo stile delle comiche del cinema muto. La storia non è nuova: è un soggetto standard, ambientato nel mondo degli Incas, costruito attorno alle vicissitudini di due figure costrette dalle situazioni a scoprire che l’amicizia non è qualcosa di così irriverente. E fin qui viaggiamo in pieno ambito disneyano. Ma quello che colpisce – e a prima vista insospettisce – sono lo stile e il tratto dei personaggi: Kuzco, un giovane imperatore, viziato, insopportabile e per questo trasformato in lama; Pacha, un contadino erculeo, e soprattutto Yzma, la consigliera del principe, dalle qualità stregonesche nonché sorella della più nota Crudelia.
E pensare che alcuni quotidiani hanno stroncato il film definendolo «piatto e bidimensionale», come se la questione nei cartoni animati si giocasse ormai solo nel campo di una presunta verosimiglianza (o tridimensionalità?) dei caratteri o sulla precisione dell’effetto antropomorfico, magari realizzato attraverso mirabolanti marchingegni computeristici. Per quanto ci riguarda, era da tempo che non trovavamo un film targato Disney così spassoso: figure dai lineamenti cubisti, corpi sgraziati, colori accesi, ritmo scoppiettante e gag a non finire. A volte capita che la vicenda venga colpita da una sorta di amnesia e sono proprio questi i momenti migliori de Le follie dell’imperatore . Quelli in cui il film si dimentica di appartenere alla scuderia e smarrisce i buoni sentimenti, perdendo di vista la famiglia e il buonismo a ogni costo per inscenare alcuni irresistibili siparietti «celibi»: cioè fini a se stessi, macchinati solo per esercitare un proprio diritto al godimento. Quello stesso godimento, quello stesso desiderio, quella stessa pulsione e quello stesso senso di «spreco» che nell’infanzia ci coglievano davanti alle torte in faccia di Laurel e Hardy; davanti ai corpi che cozzano, si scontrano, sfidano la gravità per il puro piacere di farlo. Ci ritroviamo improvvisamente attratti in un universo parallelo, senza psicologia, dove le proporzioni e le dimensioni saltano e non crediamo ai nostri occhi. E ridiamo di gusto, senza vergognarcene. (rinaldo censi)