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La guerra dei Roses

Oliver e Barbara si conoscono casualmente a un’asta, s’innamorano e, dopo breve tempo, si sposano. Dopo diciotto anni di matrimonio, durante i quali lei ha rinunciato a costruirsi una carriera, cominciano ad affiorare alcune incomprensioni. Quando Barbara chiede il divorzio, tra i due coniugi si scatena una vera e propria guerra. Senza esclusione di colpi. In una Hollywood ancora reaganiana e nostalgica, Danny De Vito (che due anni prima aveva già diretto una commedia nera, Getta la mamma dal treno ) sforna una delle pellicole più cattive dell’epoca. Douglas e Turner capovolgono uno degli schemi classici della commedia hollywoodiana, quello del «ri-matrimonio»: una coppia sposata all’inizio del film entra in crisi, si lascia e alla fine torna insieme. Qui invece il percorso conduce all’annichilimento fisico dei due coniugi. Ma è l’ossessione americana della casa, più ancora che la dinamica della coppia, a venir devastata con allegria sempre più cupa. De Vito si diverte a distruggere una ricca abitazione, e accumula violenze e disastri con cinismo sorprendente. Come regista non è male, e si rifà a certe cose dei Coen più demenziali. Come attore – già lo sapevamo – è irresistibile. Le due star protagoniste stanno al gioco, rivivendo al rovescio i cataclismi di All’inseguimento della pietra verde . La Turner, in particolare, è una Erinni sensualissima e grottesca, memore dell’ Onore dei Prizzi . (emiliano morreale) .