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La guerra dei mondi

Ray Ferrier (Tom Cruise), gruista al porto, riceve la vista dei figli Rachel (Dakota Fanning) e Robbie (Justin Chatwin) per il fine settimana. La loro mamma, Mary Ann (Miranda Otto), divorziata da Ray, sta per recarsi a Boston dai genitori con il suo nuovo compagno Tim (David Allan Basche). Intanto, strani «temporali» si verificano un po’ ovunque nel mondo, al termine dei quali tutte le apparecchiature – elettriche o a motore – smettono di funzionare. Un tale evento capita anche nella città dove risiede Ray, ma non è nulla rispetto a quanto accadrà di lì a poco: gli alieni sbucano dalla crosta terrestre a bordo di terrificanti macchine da guerra a tre gambe, lì sepolte milioni di anni prima, e cominciano a distruggere tutto: case, strade. E persone. L’invasione è globale e a nulla paiono servire le armi convenzionali cui ricorre l’esercito per fronteggiarla. Ray e i ragazzi si danno perciò a una precipitosa fuga, con l’obiettivo di ricongiungersi al resto della famiglia.
Eh, sì, E.T. si è proprio incavolato. Steven Spielberg, torna a confrontarsi con il suo genere d’elezione, ma lo fa – sulla soglia dei sessant’anni – gettando sul mondo extraterrestre lo sguardo terrorizzato di chi è ormai abituato a vivere nell’angoscia del dopo 11 settembre. Insieme con l’inadeguatezza del ragazzo-uomo Ray, che non ha mai appreso il mestiere di padre, il regista americano coglie indubbiamente lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi in cui viviamo, smarrendo tuttavia il rendez-vous con il capolavoro. Lento l’inizio, inesistente il finale, i caratteri dei personaggi appena sbozzati, sacrificati (quasi) per intero all’azione, che invece è di prim’ordine, con effetti sonori – prima che visuali – da far rizzare i capelli, capaci di risvegliare dalle viscere dell’inconscio le nostre paure ancestrali.
Unico punto di contatto con l’arcadia aliena raffigurata in E.T., il personaggio della bimba: lì era l’ingenua Drew Barrymore, qui è l’altrettanto brava Dakota Fanning, più o meno la stessa età, ma già rosa dall’ansia patologica, cresciuta prematuramente. Innaturalmente saggia come sono oggi i cuccioli d’uomo. Vince ma non convince Tom Cruise, molto più in palla in Collateral di Mann e L’ultimo samurai di Zwick. I ruoli troppo sfaccettati evidentemente non gli si attagliano. Paradossalmente lascia più il segno Tim Robbins nella breve parte dell’ex guidatore di ambulanze-filosofo, cui gli alieni a tre gambe (o sono due braccia e una gamba?) invadono pure la cantina, dopo avergli incenerito la casa.
Chiudiamo ricordando la genealogia di prim’ordine di questa  Guerra dei mondi spielberghiana:  remake della pellicola del 1953 (girata in piena guerra fredda) di Byron Haskin, tratta a sua volta dal romanzo di H.G. Wells del 1898, oggetto, trent’anni dopo, di una lettura radiofonica da parte di Orson Welles che scatenò il panico tra gli americani (mentre in Europa Hitler prendeva deciso la strada che avrebbe condotto alla guerra). Insomma, born to thrill. (enzo fragassi)