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La fontana della vergine

Svezia medievale. Una ragazza esce per portare candele in chiesa; sulla strada, tre pastori la violentano, la ammazzano e la depredano. Poi tentano di vendere la sua tunica ai genitori: questi comprendono e – benché cristiano – il padre decide di compiere la propria vendetta secondo il rituale pagano, uccidendoli. Il giorno dopo, rimuovendo il cadavere della giovane, dalla terra scaturirà una sorgente.
Incastonato tra due film di tonalità più leggera ( Il volto e L’occhio del diavolo ), La fontana della vergine è una delle opere più possenti e telluriche del genio di Ingmar Bergman. Nessuna delle dispute religiose che dominano Il settimo sigillo o la trilogia del «silenzio di Dio»; nessuna crisi di identità o familiare, come in Persona, Sussurri e grida, Sinfonia d’autunno .
Uno scenario scabro e ridotto, dialoghi scarni, un mondo sospeso tra paganesimo e cristianesimo (motivi, questi, che ispireranno lo sconvolgente Markéta Lazarová di Vlacíl). Il confronto tra libero arbitrio e dovere sociale, la brutalità dei gesti e l’agghiacciante certezza dei rituali. Il miracolo finale apre uno squarcio su questo universo pervaso di cieca violenza e sulla cupezza del racconto. (francesco pitassio)