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La cura del gorilla

Sin da bambino Sandrone (Claudio Bisio), detto il Gorilla, è affetto da una forma particolare di schizofrenia. Di giorno è loquace, educato, ironico e disponibile; di notte bruto, violento, spietato e freddo. La malattia gli impedisce di dormire e la sua doppia personalità lo costringe a vivere una vita ai margini della società. Di mestiere fa l’investigatore privato, ma durante una missione viene quasi ammazzato da un pericoloso serial-killer. Decide di iniziare una nuova vita per reprimere l’irrompere brutale del suo alter ego. Ma i guai non sono finiti e per caso l’uomo si imbatte in una bellissima ragazza, Vera (Stefania Rocca), fidanzata con un albanese che di lì a poco viene ucciso. La passione per Vera lo induce ad aiutarla a trovare l’assassino del suo fidanzato, scoprendo così una rete di sfruttatori della prostituzione.
Diretto dal regista esordiente Carlo A.Sigon, che fino ad ora si è occupato unicamente di pubblicità e cortometraggi, il film è ispirato all’omonimo romanzo noir di Sandrone Dazieri. Grazie alla sua simpatia e alla sua ironia, Claudico Bisio riesce a gestire entrambi i volti del protagonista con autenticità. Accanto alla Bestia c’è la Bella, Stefania Rocca, un’assistente sociale molto agguerrita che vive con un gruppo di albanesi ed è fidanzata con uno di loro, interpretato da Kleidi Kadiu, quello che fa volteggiare la signora Costanzo, che forse per la prima volta ha scoperto un volto interessante all’interno del suo harem mediatico. Nel film è un ragazzo coraggioso che lotta contro il giro di prostituzione nel quale si è trovata coinvolta sua sorella al momento dello sbarco in Italia. Lui morirà ma la sua lotta verrà tenuta viva dall’impavida Stefania Rocca.
La trama è ben strutturata e piuttosto avvincente e non mancano i momenti d’ironia, grazie soprattutto a Ernest Borgnine, attore americano rigettato dal crudele circuito hollywoodiano dopo alcuni problemi con l’alcool, e Antonio Catania, fantastico nei panni di Giò Pesce in parrucchino color mogano e vestiti retrò anni Sessanta, con macchina da 50mila euro ma una roulotte come casa. Completo e suggestivo anche il personaggio di Bebo Storti: un hacker leoncavallino che si fuma uno spinello dietro l’altro.
Vi sono anche riferimenti mirati alle problematiche italiane: l’immigrazione clandestina, i giri di prostituzione che da essa nascono, i traffici di cocaina legati alla malavita e il dibattito sulle droghe leggere. In questa nuova era di dittatura mediatica e di ritorno al proibizionismo un film semplice, divertente, fatto bene e con attori di valore va segnalato. Siamo molto lontani dai polizieschi all’americana, ma sicuramente più vicini alla realtà del nostro Paese. (aurelie callegari)