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Kitchen Stories. Racconti di Cucina

Svezia. Anni Cinquanta. Diciotto esperti di arredamento domestico vengono mandati in un villaggio della campagna norvegese, noto per il numero di scapoli in eccesso. Hanno il compito di osservare 24 ore su 24 le abitudini di single maschi in cucina. Durante il giorno siedono su un trespolo posizionato accanto ai fornelli, mentre di notte alloggiano in una roulotte. Non possono né parlare né stabilire alcun contatto con i padroni di casa. Succede però che qualcuno degli osservati stabilisca un rapporto di amicizia con il proprio osservatore. È il caso di Isak, un vecchio agricoltore.

Superando i primi quindici minuti senza accusare crisi di sonno, si giunge a gustare un film davvero pregevole e delicato. L’inizio proietta lo spettatore in un mondo surreale, un paesaggio calviniano in ci lo spettatore fatica a mettere insieme i pezzi del puzzle. Poi la storia comincia pian piano a decollare. Il film focalizza l’attenzione sull’amicizia tra Isak e Folke. L’umorismo prende piede e strappa più di una risata. Siamo nel dopoguerra e il rapporto osservato-osservatore sembra quello tra prigioniero e aguzzino, tra conquistato e conquistatore. Ma le posizioni iniziali si smorzano e da fredde divengono più umane e la diffidenza reciproca lascia il posto alla complicità. I due protagonisti occupano quasi sempre la scena. Sono vecchi, grotteschi, onirici e fanno lavori assurdi: due disperati che si incontrano nella solitudine. Fanno pensare a Vladimiro ed Estragone e ad altri personaggi del teatro beckettiano.
Kitchen Stories
è stato a Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e ha divertito molto il pubblico. Un’altra sorpresa del cinema scandinavo dopo
L’uomo senza passato
del finlandese Aki Kaurismaki, che nel 2002, sempre a Cannes, si era aggiudicato il Gran Premio della Giuria.
(francesco marchetti)