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Kinsey

Se di sesso oggi si parla con una certa disinvoltura, se vi sono buone conoscenze in materia a portata di mano, se possiamo rilevare una certa liberalizzazione dei costumi, lo dobbiamo in misura non trascurabile ad Alfred Kinsey. Uno scienziato americano, che nel film seguiamo a partire dall’infanzia, segnata da un padre chiuso e bigotto, sin verso la fine della sua vita, arricchita dalla forza e dal senso critico della compagna Clara McMillen. Kinsey, che si dedicò; per vent’anni allo studio delle vespe, finì per scoprire che l’uomo non era tanto diverso da queste ultime, ma era decisamente più interessante. Dopo aver rilevato (e sperimentato personalmente) che le conoscenze in materia sessuale erano alla sua epoca assai deficitarie, dedicò la sua vita a imponenti e controversi studi che consentissero all’uomo della strada una sessualità più consapevole e gratificante. Kinsey ha segnato la società almeno quanto ha lasciato che le ardite ricerche che svolgeva segnassero la sua vita. Un pioniere che ha rivoluzionato conoscenze e costumi sessuali e spaccato l’opinione pubblica.
Uno dei migliori tra i numerosi film di argomento biografico usciti quest’anno. Girarlo presentava problematiche non indifferenti: prima fra tutte quella dell’accoglienza negli Stati Uniti. Lo «scienziato del sesso» è un personaggio controverso e comunque inviso alla vasta componente puritana della popolazione, quella che non riesce a fare pace con le manifestazioni gay di San Francisco e le pubblicità ammiccanti. E in un periodo di forte fermento su questioni di natura sessuale, come l’aborto, i diritti degli omosessuali e l’educazione sessuale, la produzione del film ha dovuto fare fronte ad alcune opposizioni materiali oltre che ideologiche alla realizzazione della pellicola. La quale, introdotta nelle sale statunitensi poco dopo il voto per la presidenza, ha avuto un successo limitato, non riuscendo neanche a rientrare delle spese di produzione.
Il film ha spessore: non dipinge Kinsey come un santo, non è un’agiografia. Il problema di fondo è quello dei confini. Morali, psicologici, culturali. Sociali e individuali. E Kinsey comincia a spostarli, pur non conoscendo bene nemmeno i suoi. La sua influenza sulla cultura sessuale e psicologica contemporanea è notevole: può essere considerato un pioniere che ha aperto la strada, negli anni Quaranta, alla rivoluzione sessuale. Un personaggio importante quanto Masters e Johnson per gli studi sulla sessualità, ma anche una figura controversa. Liam Neeson lo interpreta con devozione e passione, restituendo le diverse sfumature caratteriali dell’uomo. Al suo fianco la figura della moglie, Clara McMillen, è interpretata da una notevole Laura Linney che ha il volto tirato e amorevole della compagna indispensabile.
Pregio di Kinsey è essere un entomologo e considerare l’essere umano da un punto di vista puramente naturale, biologico, astraendolo dalle sovrastrutture sociali e culturali. Ma lo sguardo dell’entomologo è anche il suo difetto: Kinsey spesso non sa valutare le risonanze psicologiche dei propri esperimenti e convinzioni. E il film lo dice. Così come dice che all’origine dell’interesse di Kinsey per la materia vi era la repressione ideologica degli istinti sessuali operata dal padre. E l’uomo-scienziato finisce forse con lo sviluppare un’ossessione opposta. Tanto è un acuto entomologo e sociologo nel valorizzare le differenze fra ogni individuo, quanto uno scarso psicologo, anche di se stesso.
Si trattava di rendere interessante e godibile la vita di uno scienziato, un’operazione non banale. Dalla sua Bill Condon (Demoni e dei), autore oltre che regista, aveva però l’argomento centrale delle ricerche di Kinsey: il sesso. Il risultato è intelligente: vita e opere dello scienziato sono raccontate in modo strettamente intrecciato, mostrandone i reciproci rapporti di influenza e garantendo il continuo rilancio dell’interesse. Nel contempo l’argomento del sesso è trattato in modo abbastanza schietto ma spesso anche ironico, sfruttando con garbo e simpatia il potenziale comico della tematica. Questo, insieme ad alcuni aspetti della messa in scena e a uno stile registico piuttosto classico, contribuisce a dare la percezione di una scrittura un po’ romanzata. Ma il film resta più che interessante e, anzi, evita con buon distacco il rischio dell’esclusiva celebrazione, raccontando, di un uomo così particolare, il dritto e il rovescio. (stefano plateo)