I

Il posto dell’anima

La sede di Campolaro, Abruzzo, della Carair, multinazionale americana produttrice di pneumatici, comunica l’imminente chiusura e il conseguente licenziamento di tutti gli operai. Cinquecento persone in mezzo alla strada, più un altro migliaio dell’indotto. Quasi tutti gli operai vengono dai paesini montani nelle vicinanze e non si vogliono arrendere. Danno così vita a manifestazioni, occupazioni, presidi, siti internet, tutto per attirare l’attenzione dei media nazionali sul loro problema. Tra tutti tre sono più attivi: Salvatore (Michele Placido), Antonio (Silvio Orlando) e Mario (Claudio Santamaria). Tre generazioni diverse a confronto, ma con gli stessi problemi. Salvatore e Mario hanno moglie e figli, mentre Antonio vive una relazione a distanza con una compaesana, Nina (Paola Cortellesi), che è andata a vivere a Milano. Intrecciate alle vicende sindacali, che a poco a poco acquistano importanza fino ad arrivare al parlamento europeo e poi negli Usa, ci sono le loro storie personali. Mario è preoccupato per il mutuo della casa e così cerca di mettere in piedi una piccola impresa di pasta fresca, deludendo però i compagni di vita e di lotta. Salvatore ha un rapporto conflittuale con il figlio diciottenne, che sembra parlare un’altra lingua. E Antonio sogna di tornare a vivere al suo paese con l’amata Nina. «Meglio morti che disoccupati», questa battuta del film potrebbe essere tranquillamente il sottotitolo della pellicola di Milani. Un film sui perdenti, che lega insieme, con molta bravura, commedia e drammaticità. Un cinema d’altri tempi, ma al passo con la tendenza sociale europea. Molti i punti di contatto con Ken Loach, Laurent Cantet, ma soprattutto con lo spagnolo
I lunedì al sole
di Fernando Leòn de Aranoa. Milani, in alcuni passaggi, spinge l’acceleratore sulle emozioni, scadendo in un paio d’occasioni nella retorica. Ma è un prezzo che si può pagare in un film così completo.
(andrea amato)