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Il pianista

Wladyslaw Szpilman è uno dei pianisti polacchi più promettenti. Suona sempre alla radio di Varsavia e in città è piuttosto conosciuto. Nel 1939, però, le leggi degli invasori nazisti contro gli ebrei stravolgono la sua vita. Prima è costretto a vendere il pianoforte, poi a trasferirsi nel ghetto e poi alla deportazione. Sta per salire sul treno che lo porterà nel campo di concentramento, quando un caso fortuito gli salva la vita. Szpilman è costretto a vagare per la città, prima lavora come muratore per i tedeschi nel ghetto, poi viene fatto scappare da amici polacchi. Nascosto in appartamenti di esponenti della resistenza, combatte contro la fame, la solitudine e la paura. Non ha più il pianoforte a dargli conforto, ma se chiude gli occhi la musica riecheggia nei suoi pensieri e tra le sue dita. I russi sono alle porte di Varsavia, i polacchi insorgono e i tedeschi stringono la morsa. Scappa tra le vie di una città diroccata, si rifugia in una villa abbandonata, ma dopo pochi giorni quella casa diventerà l’ultimo quartier generale tedesco. Il capitano nazista lo scopre, lo fa suonare e lo salva. Una storia vera, quella di Wladyslaw Szpilman, morto all’età di 88 anni nel 2000 dopo aver scritto un libro,

Il pianista
appunto, da cui Polanski ha realizzato questo bel film che si è aggiudicato la Plama d’Oro all’ultimo Festival del Cinema di Cannes. Una pellicola per non dimenticare, di una poesia e di un realismo struggenti, realizzato con un ritmo incalzante. La sceneggiatura e i dialoghi, per fortuna, non si perdono in facile retorica. Le scene e l’ambientazione, in tutta la loro crudezza, lasciano a bocca aperta. Incredibile la fotografia e da applauso Adrien Brody nel ruolo di Szpilman. Insomma, un bel film da andare a vedere.
(andrea amato)