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Il gusto dell’anguria

La siccità colpisce Taipei. La gente cerca di risparmiare acqua: mangiare anguria e berne il succo è un ottimo metodo. Shiang-Chyi ha una vera passione, quasi una forma di feticismo, per questo frutto, ma non vuole rinunciare ad avere anche l’acqua; così, raccoglie le bottiglie vuote e poi va a rubare l’acqua nei bagni pubblici o alla gente per strada.
Hsiao-Kang invece fa l’attore porno, non sembra molto felice della vita che conduce. Di notte, in segreto, si arrampica sul tetto del palazzo in cui vive per farsi il bagno nella cisterna.
I due si incontrano al parco, al risveglio dopo un breve sonno, e si innamorano. Ma avvicinarsi è difficile, il sesso è off-limits, la solitudine di ciascuno sembra senza soluzione…

Il gusto dell’anguria
è il naturale seguito di
Che ora è laggiù?,
girato nel 2001 dallo stesso Tsai Ming-Liang: ritorna il personaggio di Hsiao-Kang, che prima vendeva orologi e ora recita «con la parte inferiore del corpo»; ritorna la valigia chiusa, che nel corso del film Shiang-Chyi tenta invano di aprire.

Il regista di Taiwan continua a esplorare i temi che, attraverso piccole variazioni, animano la sua filmografia: la solitudine come condizione ineludibile dell’esistenza, il sesso mercificato e mortificato, l’assenza profonda di comunicazione. Un quadro non certo idilliaco.

Ma ci sono piccoli margini di speranza: l’incomunicabilità dei sentimenti, che si specchia direttamente nel sesso posticcio della pornografia, può essere vinta dalla passione, a patto che sia vera e dirompente. Cosa che puntualmente accade nella scena finale, quasi a voler redimere (senza peraltro riuscire in alcun modo nell’impresa) il pessimismo di cui la pellicola è permeata.

La vicenda procede attraverso il regolare alternarsi di scene tradizionali e numeri di danza e canto da
musical:
questi ultimi rappresentano visivamente i moti interiori dei personaggi, attraverso la lente deformante dell’ironia. Sono balletti strani, coreografie assurde; vedere per credere quella, stupenda e divertente, che si svolge sullo sfondo di un bagno pubblico…

La riflessione sulla pornografia è un altro dei temi portanti del film: i protagonisti frequentano la tipica
red light room
di una videoteca, producono e consumano una grande quantità di pornografia, sono ormai incapaci di vivere l’erotismo in prima persona. Hsiao-Kang arriverà a compiere, a causa del suo lavoro, atti quasi necrofili, sempre con indifferenza e rassegnazione.
Al di là dell’incontestabile forza di alcune immagini, rimane comunque la sensazione che ci sia un certo eccessivo compiacimento estetico da parte del regista. Inoltre, il pessimismo sullo stato attuale dei rapporti umani nella società è talmente spinto che a volte risulta quasi ridicolo.
Tutto sommato, si può uscire dalla sala felici. Felici di non essere così disperati come i personaggi di Tsai Ming-Liang. Ma ci vuol poco.
(michele serra)