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Il gusto degli altri

C’è questa donna bionda, evanescente, che guarda le soap in televisione e ama il suo cagnetto sopra ogni cosa. Arreda la sua casa come «una bomboniera» e impone il suo gusto anche alla cognata. Ma non se ne rende conto. Metafora trasparente, quella usata dalla neoregista Agnès Jaoui: le barriere sociali e generazionali hanno esaurito il loro compito, adesso è (quasi) tutta una questione di gusto a mantenere le distanze tra te e gli altri. Così, almeno, succede ai personaggi che sceglie di raccontare e interpretare assieme al compagno Jean-Pierre Bacri: un industriale sbrigativo – marito della bionda – prende lezioni di inglese da un’attrice che lo affascina sempre di più; l’attrice sta perdendo l’energia della giovinezza e non sopporta che l’uomo cerchi goffamente di inserirsi nel suo giro di amici artisti. Intanto una guardia del corpo e una cameriera di bar (che arrotonda spacciando, senza drammi) si innamorano nonostante siano opposti per carattere e – di nuovo – gusti. Nulla di nuovo, o forse sì. Alla base c’è un meccanismo narrativo molto semplice: il protagonista, pesce fuor d’acqua in un ambiente snob – che lo deride in quanto «cretino» ma forse cerca di sfruttarlo – è replicato in una serie di personaggi minori (la guardia del corpo, l’autista che scopre di soffrire per amore…). La coppia Jaoui-Bacri dà il meglio di sé quando lavora per sottrazione e definisce un quadro di ambiente con pochi tratti secchi, continuando sulla linea aperta con Aria di famiglia . Mentre però il limite del film di Klapisch stava nel voler ricomporre l’equilibrio dopo aver fatto più o meno esplodere un gruppo di famiglia male assortito, Il gusto degli altri scatta in avanti negando ai personaggi la possibilità di un comodo «ritorno all’ordine». E chissà quale di questi fattori (semplicità? umorismo? crisi?) ha fatto la sua fortuna commerciale in patria, dove è stato il blockbuster non annunciato dell’anno scorso. Bizzarro, se si considera che la sceneggiatura non trova uno sguardo registico adeguato: mai veramente distaccato, mai veramente partecipe. Lo spettatore è lasciato fuori dal campo di gioco a osservare senza troppo trasporto quello che succede agli altri, come fa la bionda arredatrice di fronte ai protagonisti della sua soap preferita. Ma ogni tanto qualcosa sale a galla: e i due amanti che scherzano a proposito di figli e matrimonio, quando già sanno che tra loro non durerà, trasmettono una malinconia sottile, che non rientra nei patti dell’operazione. (violetta bellocchio)