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Il grande viaggio

Il grande viaggio
è l’opera prima del regista marocchino Ismaël Ferroukhi e merita tutta la nostra considerazione e attenzione. Siamo in Francia, nei pressi di Marsiglia, un ragazzo di famiglia araba ma ormai completamente «occidentalizzato» e non credente, è costretto ad accompagnare il vecchio padre nel suo pellegrinaggio alla Mecca. Lo fa di malagrazia, con rabbia, lo sente come un sopruso del genitore e non capisce perché non prenda l’aereo e lo costringa a un viaggio di oltre cinquemila chilometri, per lo più con una macchina vecchia.

Il film descrive il lungo itinerario attraverso l’Europa, l’Italia, la Slovenia, la Croazia, la Jugoslavia, la Bulgaria, e poi Siria e Giordania fino alla Mecca. Un viaggio durante il quale ai due capitano varie disavventure e strani incontri.

L’idea non è nuova: il viaggio come iniziazione e anche come luogo topico di scontro generazionale. Tra il vecchio padre, fervente musulmano e il giovane figlio, che non conosce il Corano né la sua lingua, l’incomprensione è totale. La testardaggine ma anche la saggezza del primo entrano subito in conflitto con la vitalità e ingenuità del secondo. Scoppi di rabbia, pianti, lamenti, rimproveri, lunghi silenzi puntellano l’itinerario, in un crescendo di tensioni che però lasciano trasparire lo spazio di un dialogo, il nascere di un reciproco affetto e di una reciproca curiosità. Ed è qui che il regista ha la mano davvero felice, nella capacità di proporre un tema abusato e di risolverlo con un’elegante naturalezza, con episodi di sorprendente grazia e trattenuta commozione, fino alle bellissime e drammatiche scene finali della Mecca.
(piero gelli)