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I guardiani della notte

In un’epoca lontana le forze della Luce e quelle dell’Oscurità hanno deciso un armistizio. Questa tregua, vuole la profezia, sarà sciolta con la nascita un «eletto». Il bambino dovrà scegliere a quale fazione accostarsi e con la sua decisione romperà l’equilibrio del conflitto. In una Mosca contemporanea dall’atmosfera tecnologica e assente, in mezzo a cittadini ignari di tutto, riprende quota questo latente, millenario conflitto.
Caso cinematografico dell’anno in Russia, dove ha frantumato il record di incasso di qualsiasi pellicola precedentemente prodotta nella ex repubblica sovietica, arrivando a incassare sedici milioni di dollari. La Fox ha colto il segnale attivandosi come distributore internazionale del film ed entrando direttamente nella produzione del terzo e ultimo episodio della saga. Anche da noi questa pellicola sta richiamando l’attenzione di esperti e pubblico in quanto caso cinematografico dai risvolti sociologici. Cinema e società cambiano velocemente anche in Russia: il pubblico è composto in prevalenza da giovani e giovanissimi che non hanno conosciuto l’Unione Sovietica e il cui gusto è stato allevato a forza di blockbuster. Konstantin Ernst, direttore della potente rete tv Channel One Russia, ha colto questa novità e, colpito dal romanzo Night Watch di Sergei Lukyanenko, ha deciso di farne il primo capitolo di una saga. Questa sarà composta da altri due film, tratti da altrettanti seguiti del romanzo, scritti dallo stesso Lukyanenko.
Appena si sono colte le potenzialità per l’esportazione internazionale di questa pellicola orgogliosamente autarchica è scattato il gioco delle analogie e delle influenze. Così I guardiani della notte è stato presentato come Il signore degli anelli russo, o paragonato a Guerre stellari. Se ne sono viste le connessioni di tipo visivo con l’immaginario di Matrix, sfociate nell’accostamento del regista con i fratelli Wachowski. O con Tarantino, o Ridley Scott. Lo star system del mondo occidentale è stato scandagliato da produzione e critica alla ricerca dei paragoni più evocativi: un’operazione ovvia e ovviamente approssimativa.
Il film esibisce una potenza visiva davvero rara. Il regista ha una carriera legata in grande prevalenza a pubblicità e videoclip, così come il cast tecnico, in gran parte formato da suoi collaboratori di vecchia data. Così questo kolossal fantasy con venature horror e, talvolta, splatter, mette in primo piano la velocità, il sangue e l’acrobazia, lasciando spesso sullo sfondo il senso narrativo. Bekmambetov ha un gusto per l’intrattenimento decisamente moderno e «mainstream», al quale spesso sacrifica tutto. Gli occhi trangugiano scene di grande impatto, senza quasi poter prendere il respiro. Un’abbuffata di effetti speciali, pure mirabili sotto il profilo tecnico, che resta in gran parte fine a se stessa e lascia lo spettatore con un vago senso di frustrazione, se non di nausea.
Eppure le premesse di un certo spessore narrativo c’erano tutte: la contrapposizione fra bene e male non è così piatta e frontale, la varietà dei personaggi poteva essere sfruttata, l’ambientazione metropolitana di una saga epica era curiosa. Ma la sceneggiatura latita sia nell’originalità che nella costruzione degli snodi narrativi, che si accartocciano su se stessi senza anima. Anche agli attori è sottratta la possibilità di esprimersi con una qualche profondità, tale è lo sbilanciamento della produzione verso la confezione e l’effetto speciale.
Resta un caso molto interessante dal punto di vista produttivo, che prefigura nuovi scenari per il cinema russo sul palco internazionale. I guardiani della notte, però, non riesce a coinvolgere: è un film artificioso, muscolare e plastificato. Neppure le scene di tensione riescono a mettere davvero in allerta lo spettatore, che si limita ad attendere con curiosità l’effetto speciale successivo e poi, col procedere del film, la sua stessa conclusione. L’impronta pubblicitaria del regista si avverte troppo, nemmeno mitigata dalla furba e comunque discutibile verniciata di umanità che possiedono gli analoghi prodotti occidentali. Un’inattesa e poderosa esibizione di forza, senza contrappesi, che finisce con lo scadere nel puro formalismo. (stefano plateo)