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Hotel Rwanda

Quando una montagna di cadaveri colma l’abisso tra la banalità e il male, allora siamo di fronte a un genocidio. È accaduto con l’Olocausto, è accaduto in Rwanda. Lì, Paul Rusesabagina
(Don Cheadle)
dirige un hotel di lusso della catena Sabena, dove è maestro nel soddisfare i desideri della clientela internazionale e rabbonire con piccole regalie i potenti locali.

Nel Paese va montando la rabbia dell’etnia Hutu – cui Paul appartiene – contro i Tutsi, fomentata dalla radio RTML, una delle poche – e da quando cominceranno i massacri, l’unica – trasmessa in tutto il piccolo Paese centrafricano. Paul ha paura perché sua moglie Tatiana
(Sophie Okonedo)
è Tutsi, come altri membri della sua famiglia. Dopo una pace di facciata e l’assassinio del Presidente Habyarimana, scatta la ferocia. Dal 6 aprile 1994 al luglio dello stesso anno, quasi un milione di Tutsi e Hutu considerati collaborazionisti saranno massacrati, per lo più a colpi di machete, i loro corpi abbandonati per le strade di Kigali, lungo i sentieri che si addentrano nella foresta, gettati nei fiumi e nei pozzi, in balia degli animali.

La comunità internazionale, assolutamente impreparata a una tale carneficina, reagirà traendo in salvo i soli cittadini esteri e abbandonando al loro destino tutti gli altri. Il contingente delle Nazioni Unite, già presente nel Paese, sarà ridotto da 2500 a sole 270 unità. In questo inferno di odio cieco e insensato, il direttore dell’Hotel Diplomat e in seguito anche del Milles Collines, realizzato che nulla e nessuno potrà salvare il suo Paese dal macello, si prodiga per accogliere alla meglio quanti più profughi gli è possibile, senza distinguere tra Hutu e Tutsi, sfruttando fino in fondo tutte le risorse disponibili e ponendo a rischio la sua incolumità. In questo modo, al termine del genocidio, sarà riuscito a salvare, oltre alla propria famiglia, 1268 persone. Una goccia nel mare del genocidio, un tesoro di vita e speranza di inestimabile valore.

Quando la follia prevale, ci sono sempre uomini che coi loro gesti gettano piccoli e malcerti ponti di speranza sull’abisso d’odio sottostante. Il regista Terry George
(Nel nome del padre, the Boxer, Sotto corte marziale)
ha compreso subito che la storia di questo Schindler africano andava assolutamente raccontata. E l’ha fatto con tatto, quasi con discrezione, glissando sulle scene più crude ma riuscendo comunque a trasmettere il terrore non umano e il senso di impotenza che colse il mondo intero di fronte al deflagrare di tanta insensata violenza. Presentato a Berlino e candidato a tre Oscar – per le straordinarie interpretazioni di Don Cheadle e Sophie Okonedo e per la sceneggiatura –
Hotel Rwanda
racconta una storia che merita di essere mandata a memoria. Non ha forse la grandezza del racconto epico, ma è onesto sulle complicità e le indifferenze del mondo progredito e globalizzato, colto ancora una volta – ancora in Africa – con le sue mani bianche pulite e profumate, appena lavate dal sangue di un popolo che vive in un eden trasformato, da secoli di colonizzazione diretta e indiretta, in un inferno. Da vedere.

Sul genocidio in Rwanda, sulle sue cause storico-politiche e sul difficile percorso di ricostruzione, dei manufatti ma soprattutto delle coscienze, segnaliamo anche un paio di libri, tra i molti che sono stati pubblicati:
Una domenica in piscina a Kigali,
di Gil Courtemanche (Feltrinelli, 2005) e
Lo sguardo oltre le mille colline,
di Ivana Trevisani

(Baldini Castoldi Dalai editore
, 2004).
(enzo fragassi)

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