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Histoire de Marie et Julien

Jacques Rivette è un regista discontinuo, non solo nei risultati, ma anche nei generi, trapassando dalla commedia al noir più nero, dalla interpretazione di un’opera narrativa
(Balzac)
al documento storico (le due lunghe parti di
Giovanna d’Arco).
Credo che, però, questa sua versatilità curiosa, si scontri con una propensione felicemente assoluta, quella di filmare il quotidiano, nei suoi aspetti più quotidianamente usueti, negli angoli più insoliti, negli ambienti (caffè, interni di case, stradine periferiche) più anonimi, cogliendone l’aura poetica, grazie al suo modo di girare che rimanda alla grande stagione di Goddard e di Truffaut: avendo del primo tutta la gravità tecnico-ideologica e la noncuranza per la pazienza degli spettatori, e mancando del secondo la levità e la grazia. Arriviamo così a questa sua ultima opera:
Storia di Marie e di Julian,
concepito in tre capitoli. Il primo, Julian, ci fa vedere un uomo di quarant’anni, che abita in una bellissima villetta
delabrèe
alla periferia di Parigi, piena di orologi antichi, di stanze e stanzine e di un gatto, dal nome poeticamente referenziale di
nevermore:
è un architetto mancato, anche un orologiaio appassionato ma non bravo come vorrebbe, per le sue mani da macellaio. È anche in difficoltà economiche, perché ricatta un’imprenditrice di sete orientali, denominata soltanto come Madame X, con dei documenti che rivelano la falsità delle sue sete antiche.

Vive solo, la sua ultima compagna l’ha lasciato, quando irrompe nella sua vita, misteriosa e inquietante, Marie. Ed è l’amore, l’amore
fou
(come dichiara il regista in un’intervista), quello che non chiede nulla se non di essere tutto l’uno per l’altro. Marie così diventa amante e complice di Julian, ma con strane assenze, misteriose fughe e atti inconsulti. Si passa così nel secondo capitolo, quello di Julian e Marie, della loro vita in comune. Insieme riusciranno a estorcere il denaro a Madame X, la quale però rivelerà a Julian anche la verità sulla sua compagna: è una
revenant,
una morta, come la sorella di lei. Julian dapprima giudica una pazza Madame X, poi, all’ennesima fuga di Marie, inizia delle ricerche presso chi l’ha conosciuta e scopre la verità (terzo capitolo: Marie) che non dico per non togliere la sorpresa a chi vuol vedere il film. Che si vede in progressiva inquietudine, trapassando dall’interesse più vibrante alla perplessità e al dubbio più insistenti. Perché di fatto niente convince o quasi dell’amalgama di questo film. Non l’amore
fou,
più dichiarato che espresso, nonostante le numerose sequenze di prestazioni sessuali in realtà molto tranquille, non il thriller del ricatto assai strampalato e insulso, e nemmeno il lato fantastico di esseri
revenant
(Marie e la sorella di Madame X): più che una
revenant
Marie sembra una psicopatica, una schizofrenica; e se tale fosse tutto il film acquisterebbe un sua verità tragicamente poetica, che il regista nega e sciupa con il suo
divertissement
male assortito e a lungo andare anche noioso.

Ciò che rimane di valido, di affascinante di questo ultimo film di Rivette, è la figura di Julian, colto nei suoi aspetti domestici e nei suoi girovagare per Parigi e i suoi caffè, nella sua passione per gli orologi, nei suoi rapporti col gatto e via di seguito. Momenti di una quotidianità perturbante, come se vi aleggiasse una compresente occulta prossima follia, che il regista riesce a rendere con sicuri e fermi movimenti di macchina. Un po’ troppo poco.

(piero gelli)