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Gostanza da Libbiano

1594: a San Miniato, nel Ducato di Toscana, la contadina Monna Gostanza da Libbiano esercita da sempre il mestiere di guaritrice. Dei suoi traffici vengono informate le autorità ecclesiastiche locali che, dopo una breve istruttoria, si convincono che la donna pratichi la stregoneria. Incarcerata, viene affidata alle cure del reverendo Roffia e di padre Porcacchi, che intendono farla confessare. Poco a poco, a causa della durezza degli interrogatori e delle pene corporali, Gostanza comincia a cedere e a entrare nei panni della strega.
Paolo Benvenuti ha realizzato solo quattro lungometraggi ( Il bacio di Giuda, Confortorio e Tiburzi , oltre a quest’ultimo), tutti ambientati nel passato e in snodi cruciali (Gesù Cristo nel suo rapporto con la tradizione iconografica e popolare; gli ebrei e l’Inquisizione; il brigantaggio): quattro ricostruzioni filologiche e didattiche, quattro lezioni di stile. Benvenuti si documenta ogni volta per anni e poi mette in scena i suoi lavori con pazienza, pochissimi soldi e attori non professionisti (qui, come vedremo, fa la sua prima eccezione). Ma non è un regista algido e intellettualistico, tutt’altro. La sua vena pedagogica trova carne e immagini in una lettura appassionata della memoria popolare italiana, e soprattutto toscana: i suoi film hanno sempre per protagonisti popolani, contadini o artigiani (anche nel caso di Cristo e degli apostoli in Il bacio di Giuda ), posti a confronto con l’ipocrisia degli intellettuali e del potere. La sua amara riflessione sulla Storia riesce a non essere mai ideologica, perché è anzitutto culto «caldo» e amoroso di forme e figurazioni del passato: i «maggi», le sacre rappresentazioni, i cantastorie, la pittura dei maestri manieristi e barocchi.
Qui, ancora una volta, il potere si chiama Chiesa Cattolica. Sono però banditi i manicheismi: l’inquisitore che interroga la strega Gostanza (la quale sotto tortura non solo ha confessato, ma si è autoesaltata ed è convinta di aver avuto commerci carnali col demonio) cerca in tutti i modi di arrivare alla verità, e soprattutto di salvare quella che con ogni probabilità è solo una vittima, non solo del braccio secolare ma anche della repressione psicologica, della Storia. Le battute che si odono nel film sono tratte dai verbali del processo, minuziosamente collazionati dall’autore con l’ausilio di specialisti. Benvenuti ne fa sapiente montaggio e crea un’atmosfera ipnotica e tesissima, realizzando una sorta di remake laico e antropologico di Dies Irae (a tratti addirittura non inferiore – dal punto di vista figurativo – al modello). Ma Benvenuti, che come sempre si dice è allievo di Rossellini e degli Straub, sa che ogni film è anche (anzitutto?) un documentario sui propri attori. Qui vanno ricordati l’inquisitore interpretato da un vero sacerdote, Renzo Cerrato, e soprattutto la Gostanza di Lucia Poli, che al suo primo ruolo da protagonista dà vita a una delle più belle interpretazioni femminili del cinema italiano degli ultimi vent’anni. (emiliano morreale)