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Fratello, dove sei?

Un galeotto convince due compagni di prigionia a evadere per recuperare un fantomatico tesoro. In realtà vuole tornare dalla moglie, che sta per risposarsi… Una cosa è certa: per concepire la storia di tre forzati in fuga dal bagno penale nell’America rurale e stracciona degli anni Trenta, modellandola nientemeno che sulla Madre di tutti i racconti di viaggio (debito esplicitamente dichiarato nei titoli di testa), bisogna davvero possedere tutta la disinvoltura e lo sprezzo del pericolo dei Coen Bros.: i quali, sarà bene dirlo subito, ne escono ancora una volta vincitori, aggiungendo un tassello solo in apparenza atipico a una filmografia che di capitolo in capitolo va facendosi sempre più corposa e rilevante nel suo incessante processo di attraversamento, rielaborazione e attualizzazione dell’immaginario – non solo cinematografico – americano.
Con Fratello, dove sei?
, le intrusioni del Mito nel cinema dei Coen si espandono fino a occupare l’intero spazio della narrazione. Finora, infatti, se ne erano registrate tracce sparse in film come
Arizona Junior
(il personaggio del motociclista satanico) o
Mr. Hula Hoop
(la cui voce off apparteneva addirittura al Tempo in persona), senza contare la sospensione metafisica che circolava per lo spettrale hotel di
Barton Fink
. Episodi che, accostati al feroce e stralunato iperrealismo di
Blood Simple
e
Fargo
, alla matematica precisione di
Crocevia della morte
e alla beffarda malinconia di
Lebowski
, coprono una gamma di registri narrativi di invidiabile ampiezza. Ma non ci si aspetti, in quest’ultima e ambiziosa alzata di tiro, un pedissequo calco delle stazioni e dei caratteri dell’on the road (o meglio, dell’on the sea) omerico, appena riverniciati in salsa contemporanea: le peregrinazioni dell’impomatato Ulysses Everett McGill e dei suoi compagni di sventura, significativamente in cerca di un tesoro fantomatico e inesistente, li conducono nuovamente a contatto con le mille facce del morbo dell’idiozia, della corruzione, del razzismo e della violenza che squassano il Grande Paese. E a presiedere al loro destino non vi sono nessun Poseidone e nessuna Atena, bensì tuttalpiù una coppia di «divinità» antagoniste laide e volgari, contrapposte ma sconsolatamente identiche, in lotta per un potere tutto terreno (qualche allusione, con un anno di anticipo, a qualche tornata elettorale recente?).

Immerso «deep in the heart of darkest America», come diceva Laurie Anderson, nello scenario di un Sud arcaico e ignorante che non serve solamente a motivare la scelta country & bluegrass della funzionalissima colonna sonora,
Fratello, dove sei?
non inciampa mai su derive banalmente parodistiche, ma gioca la carta della deformazione grottesca alla stregua di un Daumier dei giorni nostri, con una varietà di trovate e di soluzioni di cui sarebbe impossibile fornire qui adeguata e sintetica descrizione. Clooney, Turturro e Nelson (ma anche tutti gli altri) pressoché perfetti, figurine in movimento su uno sfondo assolato reso sinistramente livido e giallastro dalla fotografia di Roger Deakins. Forse non il capolavoro di Joel & Ethan, ma sicuramente un’esperienza che riconcilia con il cinema.
(marco borroni)