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Final Destination 2

Kimberly Corman, giovane studentessa universitaria parte con gli amici a bordo della sua automobile per trascorrere il week end fuori città. In viaggio verso la Route 23, Kimberly assiste impotente a un terribile incidente provocato da un camion fuori controllo che, mettendo in moto una terribile reazione a catena, provoca la morte sua e dei suoi amici e di numerosi altri guidatori. Un attimo dopo, la ragazza si ritrova in mezzo al traffico circondata dalle stesse persone che ha appena visto morire. Sconvolta per il ripetersi di alcuni avvenimenti già visti nella premonizione, Kimberly blocca con l’auto lo svincolo dell’autostrada per evitare il disastro. Nel frattempo giunge sul posto un giovane poliziotto che cerca di convincerla a liberare la corsia mentre tutti i conducenti cominciano a lamentarsi e a strombazzare. Ma un attimo dopo la visione della ragazza si realizza, l’incidente mortale avviene proprio sotto gli occhi di coloro che vi dovevano perdere la vita. Il destino di un gruppo di persone è stato modificato e ben presto la Morte che li attendeva verrà a cercarli. Come i superstiti del volo 180 in una corsa contro il tempo, ai protagonisti non resterà che fare un sola cosa: sopravvivere.
Ecco giunto il preannunciato sequel di quel Final Destination, prodotto nel 2000 dalla squadra Warren Zide e Craig Perry con la regia di James Wong, che aveva ottenuto un buon successo di botteghino ma che soprattutto si era rivelato uno dei più gettonati homevideo della stagione. E di horror scorrevole si potrebbe parlare anche per questo secondo episodio diretto da un abile David R. Ellis, che vede come unica sopravvissuta al volo 180 Clear Rivers (la stessa Ali Larter) chiusa in una manicomio per il terrore di fare la fine dei suoi amici, rimasti tutti uccisi in inspiegabili quanto cruenti incidenti. Se la vicenda si sviluppa secondo la stessa logica della prima pellicola, qui si assiste all’aggiunta di un ingrediente in più: l’ironia. Ironia che ricorda vagamente alcuni dei virtuosismi di craveniana memoria mutuati soprattutto dalla trilogia di Scream. La «rimasticatura» dell’intreccio è evidente ma anche arricchita da una possente scena iniziale. La sequenza dell’incidente stradale, in cui non c’è un attimo di tregua e le cui macchiettistiche scene girate tra i guidatori bloccati nel traffico risultano essere tra il serio e il faceto, passa successivamente a situazioni tutte drammaticamente a rischio per i protagonisti. Non ci sono tempi morti: la Signora in nero è ovunque e può colpire in qualsiasi momento. Il concetto che emerge è proprio l’ineluttabilità della Morte, la sua presenza costante nella vita delle persone e la sua potenza distruttiva. Senonché il trio, formato dalla giovane Kimberly che ha il dono di poter vedere ciò che aspetta i suoi compagni di sventura, Clear che decide di uscire allo scoperto per aiutare i superstiti a rimanere vivi e il giovane poliziotto Thomas che ha assistito con i suoi occhi all’incidente, lotta per combattere e cambiare un destino segnato. E la soluzione qui proposta non è particolarmente originale. Ma ciò che conta è il divertimento, perché di questo si tratta. Per gli amanti del genere, questo rutilante e ironico succedersi di sventure, disgrazie, incidenti drammatici quanto divertenti per l’improbabilità delle situazioni, voluta dal regista e dagli sceneggiatori, può essere un’ottima occasione per ritornare all’horror come pura occasione di svago all’insegna del cardiopalma e, perché no, della risata. (emilia de bartolomeis)