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Femme Fatale

Festival di Cannes 2001, un gruppo di malviventi sta mettendo in atto un colpo da dieci milioni di dollari. Si tratta di un abito, indossato da una modella, composto da diamanti preziosissimi. Una bionda mozzafiato, travestita da fotografo, attira la modella in bagno per un incontro lesbo incandescente. Nel frattempo i complici sostituiscono il vestito e creano scompiglio nel Palais du Festival. Qualcosa va storto, la biondona scappa e un complice viene catturato. Scena successiva: la bionda cerca di trovare documenti falsi e di scappare dalla Francia. Uno strano scambio di persona l’aiuta a espatriare. Dopo sette anni, sotto mentite spoglie, la biondona torna a Parigi e un paparazzo le scatta una foto che mette a repentaglio la sua vita. Il fotografo, però, è affascinato da questa donna, la segue e scopre che per lui sarà una femme fatale. Altro non si può dire della trama di questo film, per non svelare la rete articolata tessuta da Brian De Palma, che si diverte a giocare con i colpi di scena, l’attenzione dello spettatore e il sottile limite tra sogno e realtà. Molte le citazioni di De Palma, anche di se stesso, anzi soprattutto. Un film che riuscirebbe a vivere di vita propria, senza sceneggiatura, secondo il tipico stile del regista. Incredibile la fotografia, il montaggio, il missaggio e la visionarietà della macchina da presa. Una Rebecca Romijn-Stamos sensualissima e due scene sexy da far sobbalzare lo spettatore. Per il resto un po’ troppa prevedibilità e la sensazione di essere continuamente presi in giro da De Palma. (andrea amato)