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Donnie Darko

Già la storia in sé è insolita, dal fascino rapinoso, quasi una sfida logica contagiosa: siamo nell’ottobre del 1988 in un’imprecisata cittadina della provincia americana, con ville ricche, strade pulite e campi di golf che sembra richiamare la città finta di
The Truman Show);
Donnie Darko (Jake Gyllenhaal) è un adolescente dall’intelligenza vivissima e dal nome di supereroe (gli dirà la sua ragazza), refrattario alla dilagante ipocrisia del mondo che lo circonda. In cura da un’analista per le sue frequenti allucinazioni, in rotta con i genitori con cui non dialoga, incompreso a scuola, non può confessare a nessuno che spesso la notte lo visita un coniglio che gli annuncia l’imminente fine del mondo e gli ordina di fare alcune cose.

Proprio in una di queste notti sonnambule scampa a un incidente inspiegabile (un reattore di boeing cade sulla sua stanza) e da allora comincia ad avere strane visioni.
Donnie fronteggia una duplice realtà con due tipi di problemi diversi. Da un lato il suo rigetto della superficialità (come quella dei suoi amici che sognano orge dei Puffi) e del fondamentalismo che lo circondano (incarnato dalla professoressa di ginnastica, fanatica adepta di una setta new age il cui guru, Patrick Swayze, predica una crescita lineare e manichea dalla rabbia all’amore); dall’altro gli inquietanti interrogativi su ciò che il coniglio vuole, e la paura della nuova dimensione del futuro schiusagli dalla rivelazione. Scoprirà che una ex professoressa di scienze della sua scuola ha scritto un libro,
The Philosophy Of Time Travel,
in cui vengono descritte esperienze identiche alle sue e avanzate teorie sul viaggio nel tempo che lo aiuteranno a capire.

L’unica cosa bella sembra essere per Donnie la tenera storia sbocciata con una nuova compagna di classe, Gretchen (Jena Malone), fuggita dal patrigno violento e convinta di vivere con la tragedia nel sangue. Ma il tempo stringe: il coniglio vuole che Donnie incendi la casa del guru (i vigili del fuoco vi scopriranno un’alcova per torture pedofile); la psicologa, allarmata dalle rivelazioni di Donnie sotto ipnosi, teme che il ragazzo faccia qualche sciocchezza; e lui, all’alba del giorno fatidico, dopo la tragedia consumatasi la notte prima, capirà come un universo tangente può incontrare quello primario e cambiarlo in meglio.

Se la sceneggiatura (dello stesso Kelly) incanta, non sono da meno i dialoghi (attenzione a quello fra Donnie e il suo professore di scienze su Dio e il destino, o con la psicologa sulla fine del mondo) e l’uso delle canzoni (con brani di INXS, Tears For Fears, Duran Duran), i cui testi fungono da contrappunto esplicativo di significati non detti. Geniale è il montaggio per opposizioni concettuali (Donnie e Gretchen che saltano felici nel giardino e poi lui dalla psicologa a parlare della solitudine davanti alla morte; il balletto scolastico delle piccole lolite organizzato dal guru pedofilo mentre Donnie ne brucia la casa) che sembra essere la cifra visiva del giovane regista. Il quale reinventa una struttura narrativa tipicamente made in Usa – viaggiare nel tempo per sistemare il presente (vedi
Ritorno al futuro) –
innestandovi citazioni da
E.T.
(la corsa in bici verso l’incontro risolutivo) a Kieslowski (la carrellata finale e catartica di tutti i personaggi come in
Film Blu),
mischiando il fantastico al romanticismo, la metafisica a un’ironia sociale sferzante.

Cinema giovane, fresco, di grande inventiva ed empatico per ogni fascia di pubblico. Un capolavoro di nuova generazione, che riscrive molti canoni creandone uno multiplo e indefinibile. Al momento la migliore definizione di cosa sia
Donnie Darko
l’ha data lo stesso regista: «Magari
Donnie Darko
è la storia di Holden Caulfield risuscitato nel 1988 dallo spirito di Phillip K. Dick, che inventava di continuo storie di schizofrenia e abuso di sostanze in grado di infrangere le barriere dello spazio e del tempo? O si tratta di una black comedy che presagisce l’impatto delle elezioni presidenziali del 1988? In primo luogo, ho voluto fare un film che deve essere visto e digerito più volte». Vedere per credere.
(salvatore vitellino)