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Dogtown And Z-Boys

Nella seconda metà degli anni 70, un gruppo di giovanissimi
surfer
della zona di South Santa Monica, presso Los Angeles, iniziò a dedicarsi con grande passione e dedizione assoluta allo skateboard. Il gruppo si chiamava
Zephyr Team
e nacque intorno al polo di attrazione rappresentato dal negozio di tavole da surf di Jeff Ho e Skip Engblom, al centro di Dogtown, quartiere periferico e degradato. I ragazzi che facevano parte dello
Zephyr
, gli Z-Boys, erano tutti del quartiere, e provenivano da contesti familiari più o meno problematici. La voglia di riscatto di questi adolescenti rappresentò il viatico per i loro successi sportivi, successi che però non arrecheranno a tutti loro la felicità e la stabilità tanto ricercate.

Dogtown And Z-Boys
è il documentario che racconta, da un punto di vista certamente privilegiato, la nascita dello skate inteso in senso moderno, come fenomeno sportivo e culturale. Attraverso l’intrecciarsi delle storie dei ragazzi che componevano lo
Zephyr Team
. Stacey Peralta, membro fondatore dello
Zephyr
, dipinge un quadro in cui prendono spesso il sopravvento toni quasi malinconici, figli della nostalgia per quel periodo di fine anni ?70, considerato un momento unico e irripetibile, tanto eccezionale quanto breve. 

Al di là della nostalgia però, il film di Peralta ha sicuramente diversi motivi di interesse, anche a più livelli di ricezione: oltremodo affascinante per gli adepti della setta della tavoletta a rotelle, risulterà piuttosto godibile anche per i profani.
Dogtown
apre infatti finestre sui diversi problemi sociali che hanno costituito, in modo forse inaspettato, l’humus che ha reso fertile il terreno della subcultura dello skate; vengono inoltre affrontati discorsi di tipo estetico, sottolineando l’enorme importanza della creazione di un immagine-tipo che distinguesse gli skater, legata al loro particolare atteggiamento nei confronti della vita.

Il vero protagonista della pellicola rimane comunque il fenomeno sportivo: le evoluzioni dei ragazzi dello
Zephyr
si susseguono sullo schermo quasi senza soluzione di continuità, mentre la voce fuori campo (i titoli di testa annunciano che appartiene a Sean Penn, ma la versione italiana è doppiata…) descrive con dovizia di particolari la genesi delle diverse tecniche e le fonti di ispirazione stilistica che hanno dato una forma definita alla passione degli Z-Boys. 

Un prodotto onesto e interessante che, a parte qualche episodio eccessivamente autocelebrativo, inevitabile visto che gli autori raccontano la loro storia come se si trovassero a una riunione di vecchi amici, risulta divertente e, a tratti, perfino istruttivo. 
(michele serra)