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Distance

I parenti di un gruppo di aderenti a una setta suicida ogni anno abbandonano la città per ritrovarsi nel luogo dove i loro cari sono scomparsi. Quando, al ritorno dalla loro piccola cerimonia, scoprono che la macchina è stata rubata, per i giovani la notte all’addiaccio diventa l’occasione per ripercorrere momenti di vita cruciali. E, in questo viaggio nella notte, qualcuno si scoprirà diverso.

Kore-Eda conferma la sua attrazione per il tema della morte.
Distance
è un aggiornamento della lezione sul lutto espressa in
Maboroshi
, visto a Venezia 1995 e in
After-Life
, passato a Torino 1999. Solo che qui il discorso si allarga, finisce per coinvolgere la famiglia e la società giapponese in generale. I morti sono parti di noi che si sono staccate, che hanno deviato, o che forse hanno scoperto l’abisso nascosto nell’uomo. La messa in scena riproduce perfettamente questo spaesamento con continui falsi raccordi tra presente e passato. Tra vita da soli e vita insieme. In questo andirivieni tra tempi e realtà opposte, Kore-Eda non prende partito: le ragioni di chi è rimasto sono altrettanto valide di quelle di chi è partito. Su tutto vincono il dolore, sommesso ma atroce, che si nasconde nel cuore dei sopravvissuti e una compassione fortissima per l’uomo, costretto a sopravvivere in ambienti ostili e preda di interessi più forti di lui. I protagonisti di
Distance
ritorneranno a casa dopo la notte trascorsa nella capanna abitata dai loro cari: c’è chi si mescola nella folla e ritorna con fotografie dalla sua compagnia, chi prosegue con rassegnazione la vita distrutta di sempre. E chi si scopre diverso rispetto a quello che avevamo sospettato. È a lui, al colpevole-vittima, al suo umano desiderio di ricostruirsi una famiglia (inventandosi una sorella o accudendo ad un falso padre moribondo) che Kore Eda affida il suo commiato funebre.
(carlo chatrian)