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Death Proof – A prova di morte

Austin, Texas. Tre ragazze sexy, sveglie e sicure di sé hanno intenzione di passare un’allegra serata in compagnia. Non sanno che uno stuntman fuori di testa ha intenzione di farle fuori. Quattordici mesi più tardi, nel Tennessee, lo stesso stuntman troverà pane per i suoi denti in un altro gruppo di ragazze.
Azione, violenza e gli abituali dialoghi al limite della perfezione. Quentin Tarantino si affida ancora agli ingredienti-base della maggior parte dei suoi film (l’unico “cucinato” in maniera diversa rimane per il momento l’ottimo Jackie Brown) e ne ottiene un’altra pellicola tarantiniana fino al midollo. “Meno di quello che si aspettavano i fan di Tarantino – ha ottimamente sintetizzato Paolo Mereghetti sul Corriere – ma anche molto di più (in quanto a radicalità registica e delirio narrativo) di quello che i suoi detrattori sono disposti a concedergli”.
Stavolta non c’è Uma Thurman a rubare la scena, ma un eccezionale gruppo di attrici, a interpretare due bande di “cattive ragazze” che fanno di Death Proof il film più sexy del regista. Non perché vi siano scene di sesso, in realtà totalmente assenti, ma per la continua tensione sessuale che lega la prima banda (memorabile la Arlene di Vanessa Ferlito) allo stuntman psicopatico che ha il volto sfregiato di Kurt Russell. A quest’ultimo, nella seconda parte del film, un gruppo capeggiato da Rosario Dawson e dalla stuntwoman Zoe Ball, stuntwoman anche nella vita e controfigura di Uma Thurman in KillBill, farà passare la voglia di braccare giovani donne apparentemente indifese.
Come sempre Tarantino omaggia i suoi maestri di cinema, il pane per i suoi denti di cinefilo, ma come sempre non è indispensabile cogliere le millanta citazioni per apprezzare il film. Stavolta l’oggetto dell’omaggio sono i b-movies statunitensi degli anni Settanta, dei quali la prima parte di Death Proof riproduce in toto l’estetica, titoli di testa compresi. Ma nella colonna sonora non mancano citazioni, per esempio, per le musiche de L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (opera di Ennio Morricone) e Italia a mano armata di Marino Girolami. Insomma, l’omaggio è anche al cinema italiano i cui odierni prodotti Tarantino disprezza.
In attesa di assistere, alla prossima Mostra di Venezia e poi al cinema o solo in dvd, ancora non è chiaro, al lavoro di Robert Rodriguez. Il progetto originario, intitolato Grindhouse, prevedeva infatti un film diretto a quattro mani dai due ma il flop nelle sale americane ha indotto i distributori europei a proporre al pubblico, almeno per il momento, solo la parte girata da Tarantino (che si è ritagliato un piccolo ruolo nella parte di un barista, manco a dirlo, fuori di testa). ( maurizio zoja )