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Dead Knot

Finalmente proiettato in pubblico il mitico Dead Knot, cortometraggio gay di John Woo atteso da tutti i fan del regista hongkonghese approdato con M:I-2 al successo mondiale. Ecco il resoconto di uno dei pochi occidentali che hanno potuto vederlo. Finalmente al
24° Hong Kong International Film Festival
dello scorso aprile è emerso dall’invisibilità questo cortometraggio di cui da tempo si vociferava. Pensato e girato da un gruppo di amici abituati ad alternarsi nei ruoli tecnici e artistici (Woo recita, co-sceneggia e finanzia, mentre l’amico Sek Kei – uno dei più noti critici cinematografici di HK – oltre a collaborare allo script sta dietro la macchina da presa) e proiettato al Festival con un’esecuzione dal vivo della musica di Ada Loke,
Dead Knot
risulta essere un oggetto imprescindibile per la conoscenza e l’approfondimento dell’opera futura di Woo. Storia della passione di un ragazzo (Woo) per un marinaio e del relativo interrogarsi sulla fondatezza della propria relazione con la fidanzata, è un’operazione che contiene già tutto il simbolismo interiore-religioso dei film del regista (i veli bianchi, le croci, i piccioni), steso sopra una narrazione nervosa e spezzettata, capace di forare con primissimi piani quasi inafferrabili e di annegare in campi medio-lunghi sorprendentemente claustrofobici. La Nouvelle Vague è dietro l’angolo, così come i lavori di Kenneth Anger (soprattutto
Fireworks
). Forse però il centro d’interesse maggiore risiede nella precoce esplicitazione – davvero hard per l’epoca – dell’omosessualità sempre suggerita e mai detta delle pellicole hongkonghesi di Woo. Tra nudi di schiena nei bagni pubblici, baci ravvicinati e sequenze sadomaso,
Dead Knot
si immerge senza timori in un omoerotismo ruvido e per niente conciliante. Trasuda franchezza, e il fatto che John Woo abbia deciso, dopo anni di silenzio, di concederlo al pubblico (secondo il critico Law Kar i diritti erano e restano nelle mani del regista), non può che far piacere.
(pier maria bocchi)