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Da zero a dieci

«Coi voti cominciano appena nasci. Siamo qui per prendere e dare voti. Non c’è niente di male. Se non c’è niente di male a smettere di fare quello che vuoi per fare solo quello che ti fa avere buoni voti». Parte così il secondo film di Luciano «Liga» Ligabue. Dopo un omaggio alla musica blues, «la musica degli oppressi». Giove, Libero, Biccio e Baygon hanno ormai 35 anni e decidono di tornare a Rimini vent’anni dopo un week end che gli ha cambiato la vita, solo per fare tutto quello che non erano riusciti a fare quella volta. Sono tutti di Correggio e Giove è il fratello di Freccia, il protagonista del primo film della rock star italiana,
Radiofreccia
. In riviera i quattro ritrovano le amiche di allora e insieme a loro cercano di rivivere alcuni momenti persi nel lontano 1980, ma gli anni sono passati, anche se loro si ostinano a fare finta di niente.
Da zero a dieci
delude un po’, forse perché dopo
Radiofreccia
ci si aspettava un’altra bella storia, raccontata con leggerezza e freschezza, in maniera originale. Invece questa volta Ligabue scade nel didascalico, tuto ciò che vuole dire lo spiattella in maniera violenta, saltando dalla strage di Bologna alle tematiche no-global, dalla crisi dei quarantenni eterni Peter Pan, alla malattia e alla morte. Il cast è bene assortito e gli attori appaiono quasi sempre convincenti, ma la sceneggiatura è un po’ confusionaria. Forse, sarebbe stato meglio lasciare qualcosa di sottinteso per fare viaggiare lo spettatore. E poi, il viaggio alla ricerca dei bei tempi che furono l’ha già abbastanza inflazionato Salvatores più di dieci anni fa.
(andrea amato)