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Un aspirante cineasta si trova coinvolto nelle vicissitudini produttive di un film di fantascienza incentrato sulle avventure di una sexy eroina modello Barbarella. Sullo sfondo, la dolce vita della Cinecittà psichedelica della fine degli anni Sessanta. Essere figli d’arte ha i suoi vantaggi. Ci si può dedicare, per esempio, tranquillamente alle proprie ossessioni senza dover badare alla vile moneta e magari, se tutto va bene, farci anche un film. Invidia (legittima) a parte,
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appartiene al ristretto novero delle opere realizzate per pochi intimi. In questo caso ci si rivolge a coloro che appena vedono un po’ di carta stagnola usata come effetto high tech pensano subito al magistero di Margheriti, a quelli che sognano in technicolor inseguendo il beat dei due Piero (ossia Piccioni e Umiliani) e che hanno eletto il Diabolik di Mario Bava come loro
Quarto potere
segreto. Se non si partecipa dei moti sentimentali di questo universo (sexy e minoritario) si rischia di fare la fine del recensore di Variety che si chiedeva a chi fosse diretta un’operazione così chiusa e autocompiaciuta. Domanda legittima considerato che
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va ben al di là del citazionismo che affligge il cinema contemporaneo. Coppola Jr. (ri)sogna letteralmente un mondo che ama. Se lo ricostruisce dalle fondamente e come i grandi ossessivi decide di abitare solo la porzione di mondo che gli interessa. E il gioco è talmente dichiarato che anche la critica non può far altro che limitarsi a prendere atto di questa spudorata dichiarazione d’amore. E poi sì: il Diabolik di Mario Bava È un capolavoro…
(giona a. nazzaro)