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Cast Away

Chuck Noland, energico executive in carriera della Federal Express, si ritrova naufrago su un’isola tanto splendida e incontaminata quanto deserta. Considerato morto, Chuck trascorre sull’isola quattro anni prima di ritornare alla civiltà. Sarebbe ingeneroso liquidare Cast Away come il fallimento di un progetto smisuratamente ambizioso. In realtà il film è solcato in profondità da tutte le ossessioni zemeckisiane e in primo luogo dalla riflessione sulle forme e la messinscena spaziale del tempo. Se l’analogia tra Forrest Gump e Chuck Noland è sin troppo scontata, è pur vero che il primo attraversa immobile il farsi della Storia, mentre il secondo – che presume di poter agire il Tempo – come per un contrappasso dantesco si trova a vivere in un loop temporale statico, infinito.
Ovviamente c’entra anche Robinson Crusoe e annessa parabola sull’homo faber (ed è la parte più debole del film). Forzando invece un pochino i termini della questione, si potrebbe infine considerare Cast Away come la seconda parte delle «scene da un matrimonio» zemeckisiane inaugurate da Le verità nascoste. Chuck, infatti, non vive con Kelly quando è con lei (lui insegue il Tempo…), per poi (soprav)vivere di un amore assoluto e assente durante il suo involontario esilio dal mondo. Tutto ciò che di appassionante pulsa in Cast Away è dovuto a questa dimensione coniugale: Zemeckis riesce a mettere in scena la vita di coppia riducendola di fatto all’immaginario di un uomo solo, costretto a non vivere. Non meraviglia quindi che l’apice del film sia proprio il ritorno di Chuck da Kelly, in assoluto una delle vertigini horror più inquietanti del cinema americano degli ultimi anni: Chuck perde tutto e non riconquista nulla. Per essere l’ultimo epigono del capitalismo Usa, si tratta di un bilancio a dir poco fallimentare. In definitiva sorge il sospetto che Cast Away sia la storia di un morto che risorge a una vita nuova suo malgrado e che poi tenti in tutti i modi di trarne una lezione utile. Ma lo sguardo che Hanks rivolge alla macchina da presa non ha nulla di confortante. (giona a. nazzaro)