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Cantando sotto la pioggia

Forse il capolavoro di Gene Kelly e del «suo» regista Donen: musical tutto cinematografico, tutto corpi, scatto, nervi. Ci sono i numeri di Gene Kelly che canta sotto la pioggia e di Donald O’Connor che fa l’acrobata (irresistibile), c’è il terzetto di «Good morning». Ma questo è anche uno dei primi tentativi di autocoscienza da parte di Hollywood, di rilettura acre della propria storia. A voler essere maligni, lo si potrebbe leggere in parallelo con Viale del tramonto di due anni prima, canto funebre del divismo e visione delle sue mostruosità. Singin’ in the Rain è uno dei primi film in cui la nostalgia si insinua a Hollywood; ed è forse questo a renderlo così perfettamente contemporaneo. «Questo film realizzato da un ballerino è il film della gioia», scrisse all’epoca Chabrol sui «Cahiers du cinéma»; ma si legga il saggio firmato da Michael Wood col senno di poi, e intitolato «Musica nel buio»: negli anni dei Brando e dei Dean, «il viso raggiante di Kelly divenne la maschera di una fiducia irrimediabilmente perduta». (emiliano morreale)