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Bengasi

Ambientate nelle colonie africane, le vicende di quattro italiani durante il lungo assedio inglese alla città libica di Bengasi. Tinte forti: famiglie e degni professionisti italiani vs. biechi, crudeli e stolidi figli d’Albione… Ultima pala di un trittico fascista composto anche da
Squadrone bianco
(1936) e
L’assedio dell’Alcazar
(1940),
Bengasi
è opera scopertamente di propaganda. Non a caso, uno dei perni drammatici del racconto è l’ennesimo eroe virile delle narrazioni fasciste, Fosco Giachetti, maschio guerriero come già nei due film precedenti. Eppure
Bengasi
testimonia dei molteplici interessi e della duttilità di Augusto Genina: grandissima l’attenzione a un sonoro scorporato e radiofonico, sul quale il regista romano lavora dall’inizio degli anni Trenta (cioè dallo straordinario
Prix de beauté
, 1930); raffinata la narrazione, che si snoda in un racconto corale e collettivo in barba alla monotonia eroica della propaganda; esperta la conduzione del set, gestita dalla mano autorevole di un cineasta che aveva girato in tutt’Italia e in mezza Europa. Genina si compromise con questo trittico.
Bengasi
, visto con il senno di poi, ne appare l’episodio più asfittico, ma rivela anche la vocazione europea e poco provinciale di un professionista che con i suoi film ha segnato più di quarant’anni del cinema italiano, tedesco e francese. E non è casuale che nel dopoguerra Genina tenti di girare un San Francesco in combutta con Alberto Savinio, lo scrittore più insofferente delle ristrettezze italiche.
(francesco pitassio)