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Angeli ribelli

Che dire di un film come questo, così piacevole, così scorrevole, e commovente e umano, nonostante l’argomento ostico e sgradevole? È la domanda che mi sono posta, un po’ ritardo, passata l’onda del gradimento epidermico che la visione ha suscitato. È curiosa questa sensazione, che è soprattutto la spia della furbizia consolatoria (altri avrebbero detto Kitsch) del regista e produttore. Dunque, il film – sulla strada dell’iperpremiato The Magdalene Sisters che raccontava delle violenze inflitte a ragazze «perdute o in via di perdizione» detenute in una sorta di riformatorio tenuto da suore cattoliche – affronta il tema di un collegio-riformatorio cattolico per adolescenti difficili avviati a una vita di piccola o grande delinquenza a causa della miseria e dell’ambiente familiare degradato. Tra punizioni efferate, preghiere interminabili e confessioni, i ragazzi imparavano soprattutto l’arte di come sopravvivere e ingannare, non molto dissimile a quello che già praticavano fuori, considerati non come persone ma come oggetti molesti o pericolosi. Il film, che si rifà a documenti veri, è ambientato nell’Irlanda della fine degli anni Trenta, poco prima dello scoppio della guerra mondiale. Qui, in questo collegio cupo e fetido, capita un giovane professore, laico, l’unico, in un consesso di sacerdoti.
L’insegnante ha alle spalle un’esperienza tragica; come molti intellettuali del periodo (e ricordo Orwell e Auden) ha partecipato alla guerra civile spagnola e la ragazza amata gli viene uccisa dai falangisti di Franco. L’episodio ci viene riferito durante tutto il film attraverso flashback che spiegano e il fondo melanconico dell’uomo e la sua ideologia umanistica. Il fatto che lui tratti i ragazzi con rispetto, dando loro del lei, cercando di insegnare a leggere e perfino a capire la poesia, rifiutando di punirli con punizioni corporali rivoluziona il tradizionale sistema del collegio, sadicamente guidato da un feroce sacerdote, padre John. Naturalmente il bene trionfa, anche se l’allievo più promettente e amato finirà ucciso dal sadico prete, con tanto di bava alla bocca.
Quindi, c’è la comunità degli adolescenti «senza collare» apparentemente ribelli ma in realtà pronti a un recupero angelico addirittura strabiliante, c’è l’insegnante di sinistra tutto poesia e amore, e ci sono i preti, equamente rapppresentati, un sadico esemplare, un pedofilo imprudente, un preside bonaccione e un vecchio rincoglionito. In questa prudente equazione, in questa distribuzione equamine dei ruoli, oltre che nel finale un po’ da sit-com c’è la debolezza di un film che, mentre espone gli orrori di un’«educazione» repressiva e da religione fondamentalista, la riduce a comportamento di poche mele marce che la volontà umanamente pedagogica di un professorino, armato di Shakespeare e di Neruda, basta a estirpare. Fuori testo veniamo a sapere che l’insegnante morirà pochi anni dopo in guerra e che il collegio fu chiuso alla fine degli anni Quaranta. (piero gelli)