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Amores perros

Nella caotica capitale messicana tre diverse vicende si «scontrano» a un incrocio stradale: un giovane in fuga con il suo pit-bull da combattimento ormai esangue; una modella promettente e il suo cagnolino scomparso; un vecchio misterioso, curatore di cani e castigatore degli uomini. I film d’esordio nascondono sempre un rischio: l’autore, per troppa generosità, cerca di dire tutto in una volta rasentando così l’afasia. Iñárritu, per fortuna, evita l’errore e
Amores perros
conserva una linea di fondo unitaria. Tra alti (il secondo episodio organizza molto efficacemente lo spazio in funzione drammatica) e bassi (il primo frammento, con il suo stile da videoclip, è ai limiti della sopportazione), il regista mette in scena un mondo estremamente composito. Non facciamoci ingannare, però: la struttura a racconti intrecciati non riduce per niente la sensazione di una realtà sfaccettata, nella quale estetiche differenti – così come personaggi diversi – passeggiano sullo stesso marciapiede. Iñárritu non appare come un manipolatore di realtà: piuttosto dà l’impressione di essere un sapiente costruttore di architetture urbane. Senza dubbio
Amores perros
contiene troppe idee differenti; tuttavia, più che il suo gusto per la satira o la sua passione per la velocità del digitale, colpisce soprattutto la capacità di cogliere fugaci brandelli di verità. In un film che racconta molte storie, ciò che convince maggiormente sono i momenti morti: le passeggiate del vecchio killer lungo le vie di una città che sembra tutta periferia o i silenzi in cui sprofonda la giovane modella orribilmente mutilata. Se sul talento di Iñárritu non c’è alcun dubbio, forse possiamo sperare di aver scoperto anche un animo attento alle piccole illuminazioni della vita.
(carlo chatrian)