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Amarsi può darsi

Davide si ubriaca durante una festa. Il giorno dopo deve presentarsi all’udienza in tribunale per divorziare da Giulia. Il giudice chiama a testimoniare le persone che hanno incrociato e condiviso la vita sentimentale dei due, nella speranza di riuscire a ricostruire i meccanismi della crisi che ha deteriorato il loro matrimonio. Ma l’udienza, ovviamente, si risolve in una catastrofe.
L’ultimo bacio 2
: la vendetta. Ancora annichiliti da Muccino, ecco che Taraglio ci propina l’ennesima lezioncina sui trentenni e le loro pene d’amor perdute. A prescindere dall’assoluta nullità stilistica del regista, nonostante un incipit volutamente straniante
Amarsi può darsi
è l’ennesima dimostrazione che la commedia all’italiana, più che un’eredità, è una nemesi. Incapace di mettere in scena sentimenti, pulsioni, desideri, amori, Taraglio – un po’ cialtronescamente – la butta sul ridere senza avere i numeri per far ridere. Per assurdo Muccino, nella sua sconfinata malafede, ha almeno il pregio di racchiudere in un unico film il fallimento di un’estetica (il cosiddetto cinema medio industriale) e di un progetto ideologico (la famiglia come unica difesa dal mondo esterno). Invece Taraglio, anche se partecipa esattamente dello stesso universo di Muccino, non riesce ad accettare l’idea di essere un Muccino-bis, sfotte persino Bergman e si inventa, nel finale, una pseudofamiglia alternativa benedetta dal Giubileo 2000.

Nelle note del pressbook si legge poi che il prode Taraglio si ispira niente di meno che a Lubitsch e a
Il cielo può attendere
, e che ravvede similitudini tra il suo Davide e Henry van Cleve. Accidenti! Peccato solo che nel suo film non ci sia una battuta di dialogo accettabile che sia una, uno straccio di inquadratura, un attore degno di questo nome…
(giona a. nazzaro)