A

Alexander

Esce in Italia il kolossal-peplo che Oliver Stone ha dedicato a un grande e mitico personaggio,
Alexander,
ovverosia quell’Alessandro Magno sulle cui scarse fonti storiche e tutte di seconda mano (come I vangeli) si è costruita una secolare esaltante mitologia.

Trattandosi di Oliver Stone, un regista che ha sempre affrontato tematiche politiche contemporanee con grande coraggio e passione, da
Platoon
a
JKF,
mi aspettavo qualcosa di diverso da Cecil De Mille o dal recente
Troy,
e in qualche modo non sono stato deluso dalle quasi tre ore di frenetica visione di sterminate e sanguinose battaglie, serpenti, grida e furori, intrighi familiari e di corte, balletti bizantini-tardo-romantici alla Massenet e amori gay dolcissimi, con annessa scopata etero molto animalesca; e includo anche un sospetto, un accenno di incesto tra la madre Olimpia e il figlio Alessandro.

Si capisce che Stone ci ha messo l’anima, crede a questo suo visionario e outrèe eroe, come se fosse un archetipo molto lontano di altri eponimi di storia americana, altrettanto mitizzata. Intanto la presenza sul set di un importante studioso, Robin Lane Fox – la sua estesa biografia è stata pubblicata da Einaudi, venticinque anni fa ma chi vuole qualcosa di più agile e più vicino a Stone consiglio Pietro Citati – garantisce una ricostruzione più scrupolosa del periodo, per lo meno per quanto concerne scenografie, costumi e annessi vari, e poi perché qualcosa di un’intenzione diversa, più profonda dell’esigenza spettacolare, traspare in questa congestionata e onirica follia del regista. Ed è appunto la sua follia, simile a quella del grande Michael Cimino: Stone ha costruito un’operona, costosa e rischiosa, che rischia di scontentare ogni tipo di pubblico: quello più «ricreativo» e meno «intellettuale», perché si annoia, si sperde nelle troppe ellissi, nelle sparate dittatoriali di Alexander, nei filosofemi di Tolomeo e dell’inserpentata Olimpia, e poi perché forse non gradisce «ancora» un eroe omo o bisex che sia, comunque sempre accompagnato dall’amichetto Efestione.

Ma rischia anche di scontentare l’altro pubblico, «intellettuale o intellettualoide», per una sceneggiatura che, a causa delle troppo scarse notizie storiche, si carica di melodramma verista e certe scene ricordano più
La cena delle beffe
di Sem Benelli che non tragedie elisabettiane. Dunque il meglio del film è tutto sommato nel suo empito visionario epico, dalle due battaglie strabilianti, quella di Gaugamela, in cui viene sconfitto l’esercito persiano e quella disastrosa in India prima del ritorno in Macedonia, a tutte le sequenze di massa, dagli spostamenti dell’esercito alle ricostruzioni ambientali.

Qui Oliver Stone è bravissimo nel suo inquieto inarrestabile muoversi tra primi piani e piani lunghi. Ma bellissimi sono anche alcuni momenti dell’educazione guerresca del fanciullo Alexander e alcune soluzioni finali, come la morte e ciò che precede gli ultimi istanti del protagonista, in cui Stone sembra quasi emulare (forse inconsciamente) Jarry o Vitrac, quindi l’eccesso del teatro dell’assurdo. E questa visionarietà «assurda», a metà strada tra il ciarpame sembenelliano e la genialità surreale, che salva il kolossal dalla sua destinazione irrimediabilmente kolossale. Forse ci voleva un po’ di coraggio in più. Per esempio, altri attori: Colin Farrel, Alexander, inclina il collo a sinistra come raccontano le cronache, ma con un fare troppo vezzoso su una faccia immancabilmente da bamboccio Wasp; idem per l’amico Efestione, ovvero Jared Leto: entrambi sembrano più adatti a una discoteca gay che a epiche imprese; la madre Olimpia, alias Angelina Jolie con labbra rifattissime e quindi molto barbare, sembra piuttosto un’artista da circo pronta per il suo numero di serpenti.

Nella sua volgarità guerresca Val Kilmer, Filippo, padre dell’eroe, mi sembra quello più in parte; irriconoscibile Anthony Hopkins, nel ruolo del vecchio rincoglionito Tolomeo, colui che nella biblioteca di Alessandria racconta la storia a cui ha preso parte da giovane: a lui viene affidato il messaggio ambiguo della leggenda vivente, erede di Achille o fanatico sterminatore e conquistatore, o tutte e due. Meglio lasciar perdere. Del resto le memorie di Tolomeo sono bruciate insieme alle biblioteca.
(piero gelli)