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007 – La morte può attendere

In una missione in Corea del Nord James Bond viene tradito e catturato. Appena liberato viene messo fuori dall’agenzia e gli viene revocata la licenza doppio zero. L’agente più famoso di sua maestà decide di farsi giustizia da solo. Scopre molto più di quello che pensava. Nel suo cammino incontra una donna bella e misteriosa e, come da copione, la seduce. O forse questa volta ne viene sedotto. Non molto altro sulla trama, anche perché diventerebbe inutile andare al cinema a vederlo. Ventesimo episodio della saga dell’agente segreto inglese nato dalla penna di Ian Fleming,
La morte può attendere
ci presenta un Bond con un po’ di smalto in meno, sopraffatto dagli effetti speciali e da donne troppo competitive. Passati i tempi del «seduci e scappa». Pochi dialoghi, poche battute alla Bond, qualche doppio senso, tanti gadget e infinite pubblicità occulte (neanche tanto) a oggetti destinati a diventare di moda: 3 modelli di auto diverse, dalla mitica Aston Martin, alla Jaguar, fino all’italiana Ferrari, bistrattata e fatta cadere da un aereo. Champagne francese, orologi, computer portatatili giapponesi, telefonini svedesi, rasoi olandesi. Tanti loghi ben in vista e ben poca struttura al film. Certo, bisogna andare al cinema e sapere che in fondo Bond è pur sempre Bond e guardare il film con molta indulgenza, magari con qualche rammarico del grande Connery degli anni Sessanta. Una regia stile videoclip, simile alle missioni impossibili di Tom Cruise. Due ore di esplosioni e accadimenti surreali, ma quando Brosnan appare nel suo impeccabile smoking per dire «Bond, James Bond…» un po’ di emozione c’è sempre, un po’ di affetto verso questo eroe ormai tanto familiare. Splendida Halle Berry che esce dall’acqua con un costumino alla Ursula Andress. Per il resto poca cosa, compreso il cameo di Madonna con il doppio senso più esplicito del film. E che Dio salvi la regina.
(andrea amato)